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Politica

La libertà di stampa non ha bandiere

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C’è una profonda differenza tra dissentire – esprimendosi attraverso strumenti dialettici civili – e aggredire, utilizzando la violenza come strumento. Non condividere le idee altrui, le ipotesi proposte o le narrazioni dei fatti, non può essere il pretesto per “violentare” qualcuno, anche solo verbalmente. Questo Paese, antifascista, si fonda anche sulla libertà di stampa, come sancito dall’art. 21 della Costituzione Italiana. Una libertà che deve essere praticata da tutti, una libertà che non esiste in regime di monopolio, che non è di qualcuno ma è disponibile per tutti. Quindi tutti la possono esercitare.

Alcune categorie valoriali – spesso – sembrano date in esclusiva e in eredità a precisi territori della politica, escludendone altri: legalità, sostenibilità, socialità, sembrano temi che devono caratterizzare solo una parte della politica italiana. Un equivoco strumentale che determina parti contrapposte imprigionate dalla storia e dall’opportunità. Se c’è una globalizzazione che ci vede tutti protagonisti, se la nostra società è sempre più liquida, non si capisce perché i valori non si debbano ridistribuire uniformemente tra tutti gli attori. Alcuni obiettivi – la cura del pianeta, l’equità sociale e la ricerca scientifica – sono certamente il terreno di confronto e di condivisione dell’intera umanità, sono i punti nodali, nella storia dell’uomo, che hanno bisogno di un’etica e una teologia condivisa. Certamente non hanno bisogno di contrapposizioni.

Il recente attentato al giornalista Sigfrido Ranucci di Report è l’occasione per riflettere sulla libertà di espressione e sulla condivisione delle idee. In molti, bipartisan, hanno manifestato solidarietà nei confronti del giornalista, oggetto di un vile attacco, con comunicati dai toni più diversi. Più empatici o istituzionali, tutti rivolti a manifestare il dissenso rispetto all’atto violento. Si può non condividere quello che il giornalista presenta nelle sue inchieste, si può dissentire dalle sue conclusioni giornalistiche, per tanti motivi: personali, strategici, culturali. Ma questo non giustifica la violenza fisica e verbale. E penso che la solidarietà – in questo caso – non sia un’esclusiva di chi ha condiviso ogni espressione del giornalista. Sarebbe persino pericoloso se fosse così.

Ranucci non può essere la bandiera di un partito, si occupa di informazione pubblica e per questo è utile a tutto il Paese. Non può essere la medaglietta di pochi che la mettono in evidenza nel bavero della giacca. Le sue inchieste – scomode e pungenti – sono uno strumento democratico di comunicazione che usa toni forti, rappresenta scenari possibili, che possono diventare inchieste giudiziarie oppure fotografie sfocate di pezzi scomposti di realtà. E per quest’ultime, ci può stare che i diretti interessati dissentano dalle conclusioni, anche platealmente. Se così non fosse, si potrebbe assistere a un massacro mediatico senza precedenti. Basterebbe avere la sfortuna di scivolare nel tritacarne mediatico per distruggere la vita di un uomo e la sua famiglia. Lo stato di diritto in cui viviamo ha introdotto strumenti per evitare questa anomalia.

Quindi è legittimo – per chi non ha condiviso le inchieste di Ranucci – di esprimere la solidarietà nei confronti del giornalista dopo l’attentato. Non perché si è ravveduto, rispetto alla sostanza dell’inchiesta, ma perché non condivide la violenza come forma di dissenso. E quindi, tra le tante manifestazioni di solidarietà e vicinanza, non è possibile distinguere le differenze tra i suoi fans e il resto del Paese. Vale per tutti, tranne che per quelli che pensano di avere il diritto in esclusiva di esprimere solidarietà. Forse non funziona così.

Il territorio valoriale è uno spazio attraversato, condiviso, certe volte conflittuale, ma pur sempre un territorio di tutti. Nessuno può intestarsi la legalità, la solidarietà, l’ambiente come se fosse “cosa nostra”. Questo Paese è fatto da tanti cittadini che ogni giorno, al di fuori dai partiti, fanno politica con le loro azioni quotidiane. Lo fanno studiando, educando, producendo, esplorando, pregando, aiutando. Non hanno una maglietta di un colore preciso, sono cittadini, che spesso devono fare i conti con temi come la povertà, la precarietà, la mancanza di orizzonte. Cittadini che ogni giorno lottano, ascoltano e leggono le notizie che, come un bombardamento, piovono del web.

Non sempre condividono, qualche volta sì. Ma non mettono bombe sotto le macchine a nessuno, non minacciano nessuno, non ricattano nessuno, non intimidiscono nessuno. Non mandano lettere agli editori, o messaggi con gli emissari per intimidire i giornalisti di periferia che non avranno mai la solidarietà di Ranucci. Parlo di quei giornalisti che ogni giorno raccontano le storie più semplici, quelle della città di tutti e per questo sono oggetto di ostracismi, di intimidazioni, di dissensi istituzionali, di diffamazioni sotterranee. Quelli che subiscono una forma raffinata di “fascismo” che ormai ha tanti colori.

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