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Politica

OPERAZIONE RAMAZZA, Dopo lo scioglimento per mafia, basta zone franche: la rotazione diventa obbligo

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La rotazione non è una “scelta politica”, ma un obbligo normativo previsto dalle disposizioni anticorruzione (L. 190/2012, Linee guida ANAC e Codice degli Appalti).

Lo scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose non è mai solo la fotografia di un fallimento politico. È quasi sempre anche il segnale di una debolezza amministrativa strutturale e permeabile, dove procedure, uffici e settori diventano terreno fertile per opacità, pressioni e zone d’ombra. In questo scenario, la rotazione, e perfino il licenziamento nei casi più gravi, del personale non è una formalità burocratica, ma uno degli strumenti più efficaci che l’ordinamento mette a disposizione per ristabilire fiducia, trasparenza e legalità.

La normativa nazionale la definisce chiaramente che la rotazione degli incarichi serve a prevenire la creazione di “posizioni dominanti”, a evitare che alcuni impiegati restino troppo a lungo (com’è accaduto e accade) negli stessi ambiti operativi e a interrompere eventuali abitudini poco trasparenti. È una forma di tutela sia per l’ente sia per i cittadini stessi.

La legge distingue due modalità operative: Rotazione ordinaria, programmata e ciclica, pensata per rendere fisiologico il ricambio negli uffici più sensibili e prevista come obbligo sancito dalla normativa; Rotazione straordinaria, attivata quando emergono rischi, criticità, indagini o – come nel caso dello scioglimento per mafia – la necessità di disinnescare rapidamente centri di potere, filiere relazionali consolidate e potenziali vulnerabilità.

Nel caso del Comune di Paternò appena sciolto per infiltrazioni mafiose, l’attenzione non si concentra soltanto sulla politica. L’ente viene passato al setaccio nella sua interezza: dirigenti, funzionari, personale amministrativo, settori tecnici, uffici con potere autorizzativo o di controllo, le distorsioni non si radicano solo dove si decide, ma anche dove si firma, dove si certifica, dove si gestisce. E in questi snodi negli anni le accuse e le denunce sono state molteplici. A ciò si aggiungono le solenni dichiarazioni fatte in pieno consiglio comunale, dove l’assessore alla legalità, Giuseppe Torrisi, ebbe a dire: «Non è possibile che a Paternò vi siano lavori pubblici che non vengono completati o che vengono incrementati da importi non dovuti […] non è possibile che i rapporti fra l’amministrazione comunale e i funzionari siano impostati sul volemose bene […] l’assessore dà solamente l’indirizzo politico ai funzionari, quindi dobbiamo intervenire anche sul discorso dei funzionari […] è un problema di controllo, di verifica, del comportamento dei funzionari di questo comune, in sostanza il potere decisionale che una volta era degli assessori, è dei capi unità operativa […] quello che deve realizzare gli atti è il funzionario». Sottolineiamo per cronaca che la delega ai lavori pubblici è mantenuta dal sindaco. Dopodiché cala un’omertà complice.

È proprio qui che la rotazione diventa indispensabile. Serve ad azzerare inerzie, interrompere abitudini consolidate, redistribuire responsabilità e ricostruire un ambiente amministrativo impermeabile a influenze esterne. È una misura di prevenzione, ma anche una condanna, dove occorre intervenire, a tutela dell’amministrazione e per proteggere i dipendenti onesti da qualunque sospetto.

I commissari nominati dopo lo scioglimento hanno quindi un compito strategico, riorganizzare, ricollocare, verificare e rinnovare. Inoltre, devono avviare una mappatura precisa degli uffici più esposti, individuare le funzioni critiche e predisporre un piano di rotazione credibile, stabile e monitorato.

Dopo anni in cui l’amministrazione di Paternò ha considerato la rotazione un adempimento opzionale, la realtà si impone un cambio di passo. La prevenzione non si fa con le dichiarazioni, ma con le regole applicate. E oggi più che mai, dopo lo scioglimento per mafia, diventa chiaro che senza una rotazione sistematica e rigorosa, la Pubblica Amministrazione resta vulnerabile, sia alla politica rimossa, sia alle interferenze esterne, che come ci dicono continuano ad esercitare la coltura di interessi “particolari”. È il momento di dirlo con franchezza: trasparenza e legalità non sono mai un fatto solo politico, ma anche organizzativo, quotidiano, amministrativo. C’è stato troppo in questi anni per far finta di niente.

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