CORRENTI, NOMINE, CARRIERE
Il caso Palamara e il condizionamento invisibile che divora l’autogoverno della magistratura. Quando le correnti smettono di essere idee e diventano potere
Il correntismo non è una patologia recente, né un incidente di percorso. È diventato nel tempo un sistema di potere strutturato, capace di condizionare carriere, nomine, trasferimenti e persino il clima culturale della magistratura. Non è più confronto di idee, ma gestione organizzata del consenso interno. Chi continua a difenderlo come pluralismo ignora, o finge di ignorare, una realtà evidente: le correnti non rappresentano più visioni della giurisdizione, ma blocchi di influenza. Il CSM è diventato il teatro principale di questa trasformazione. Le nomine non sono più il frutto di valutazioni comparative trasparenti, ma il risultato di equilibri correntizi negoziati, spesso lontani dagli occhi dell’opinione pubblica.
Il correntismo produce tre effetti devastanti: Erosione della credibilità: il cittadino non vede più un giudice imparziale, ma un magistrato “collocato”. Compressione del merito: chi non appartiene, chi non si allinea, resta indietro. Conformismo giudiziario: il dissenso diventa rischio di isolamento professionale. In questo clima, l’autonomia individuale del magistrato – pilastro costituzionale – viene svuotata dall’interno.
La forma più subdola del correntismo non è l’abuso visibile, ma l’autocensura che induce. Molti magistrati scelgono di tacere, di non esporsi, di non concorrere, perché sanno che senza una “copertura” correntizia il percorso diventa accidentato. Questo non è pluralismo. È selezione darwiniana del consenso.
L’Associazione Nazionale Magistrati, nata come sindacato di tutela, si è progressivamente sovrapposta al sistema correntizio, diventandone spesso la cassa di risonanza e il moltiplicatore di potere.
Il risultato è una confusione pericolosa: chi rappresenta i magistrati? chi indirizza l’autogoverno? chi risponde delle decisioni? Quando tutto si decide in circuiti interni autoreferenziali, la responsabilità scompare.
Il caso Palamara: quando il sistema si scopre.
Il cosiddetto caso Palamara non è stato una deviazione individuale, né una caduta morale isolata. È stato uno squarcio su un meccanismo rodato, che ha semplicemente mostrato ciò che per anni era rimasto sottotraccia. Conversazioni, accordi, spartizioni, pacchetti di nomine. Nulla che non fosse già noto a chi viveva il sistema dall’interno, ma che l’opinione pubblica non aveva mai visto così nitidamente. Il punto decisivo non è il nome Palamara. Il punto è che Palamara era funzionale a un metodo condiviso.
Il correntismo trova la sua massima espressione nella gestione delle nomine. Qui il potere diventa concreto. Le carriere non avanzano solo per merito, esperienza o capacità organizzativa. Avanzano, troppo spesso, per appartenenza; fedeltà; equilibrio tra correnti. Il risultato è un sistema di baratto silenzioso: io sostengo il tuo candidato oggi, tu sostieni il mio domani. Il CSM, da organo di garanzia, si trasforma così in camera di compensazione politica interna.
Il danno più grave non è solo istituzionale. È culturale. Il magistrato che sa che la propria progressione dipende da un circuito correntizio interiorizza una regola non scritta: non disturbare l’equilibrio. Non serve un ordine diretto. Basta il contesto. Nasce così un condizionamento sottile ma profondo. Questo non significa che le sentenze siano tutte pilotate. Significa qualcosa di più grave: che l’indipendenza viene erosa prima ancora di essere violata. Continuare a raccontare il correntismo come una degenerazione episodica serve solo a salvare il sistema così com’è. Il caso Palamara ha dimostrato che non esistono “mele marce” isolate, ma un frutteto organizzato.
Finché le nomine resteranno terreno di scambio e le correnti manterranno il controllo delle leve decisive, ogni riforma cosmetica sarà destinata a fallire. Il correntismo non ha solo inquinato l’autogoverno. Ha inciso sulla percezione stessa della giustizia. E quando il cittadino inizia a chiedersi non se una decisione è giusta, ma da dove proviene chi l’ha presa, lo Stato di diritto entra in una zona grigia pericolosa.
Il caso Palamara non va archiviato come scandalo del passato. Va letto come avvertimento strutturale. O si spezza il legame tra carriere e appartenenze, o la magistratura continuerà a pagare il prezzo più alto: la perdita di fiducia dei cittadini.