

di Pippogrifo –
C’è un aggettivo che risuona con insistenza nelle cronache politiche di queste ore, rimbalzando dalle note della maggioranza fino ai dossier tecnici: “robusta”. La manovra finanziaria ai blocchi di partenza viene descritta, da Schifani, come la più solida degli ultimi cinque anni, forte di coperture certe e di cifre importanti. Tuttavia, per chi ha il compito di andare oltre la superficie patinata dei comunicati stampa, la lettura della nota del Servizio Bilancio dell’Assemblea Regionale Siciliana (Ars) restituisce un quadro ben diverso. Un quadro dove la “robustezza” contabile sembra nascondere una preoccupante fragilità politica e, ancor peggio, un’anomalia istituzionale che rischia di passare sotto silenzio.
La dittatura dell’esistente
Il primo dato che smonta la narrazione del “nuovo corso” è la composizione della spesa. I tecnici ci dicono che il 41,6% delle risorse è destinato ai rifinanziamenti. Che significa? Significa che quasi metà della potenza di fuoco della Regione serve esclusivamente a non far morire ciò che già c’è. Si mette benzina in veicoli vecchi, si rinnovano contributi a pioggia, si tiene in vita l’ordinaria amministrazione figlia di leggi approvate dieci o vent’anni fa.
Quando una manovra impiega quasi la metà delle sue risorse per la mera sopravvivenza dello status quo, lo spazio per l’innovazione si riduce al lumicino. Non è una manovra di sviluppo, è una manovra di manutenzione. Si garantisce il galleggiamento della macchina regionale, ma si rinuncia a tracciare una rotta nuova.
La delega in bianco
Ma se il 40% guarda al passato, un altro 18% guarda a un futuro nebbioso. È la quota di bilancio che finisce nei “Fondi speciali” e negli accantonamenti. Parliamo di centinaia di milioni di euro sottratti a una destinazione certa e immediata, parcheggiati in attesa di “successivi provvedimenti legislativi”.
In termini politici, questa è una colossale delega in bianco. Il Governo chiede al Parlamento di approvare una scatola chiusa, riservandosi di decidere in un secondo momento – lontano dai riflettori della sessione di bilancio – come e dove spendere quei soldi. Quella che viene venduta come “flessibilità” è, nei fatti, discrezionalità pura. È la creazione di un tesoretto politico da gestire verosimilmente attraverso leggi collegate o provvedimenti di giunta, riducendo la trasparenza e il controllo preventivo.
Il paradosso del controllore
Ed è qui che l’analisi tecnica inciampa in un cortocircuito istituzionale che lascia interdetti. La nota che certifica questa impostazione non proviene da un ufficio stampa governativo, ma dal Servizio Bilancio dell’Ars. È l’organo tecnico del Parlamento, il “guardiano” che dovrebbe tutelare le prerogative dell’Aula contro le vaghezze dell’Esecutivo.
È singolare, per non dire inquietante, leggere che proprio l’ufficio preposto al controllo saluti con favore, o quantomeno avalli senza battere ciglio, il fatto che il 18% delle risorse sia sottratto alla decisione puntuale dell’Assemblea.
Accettando che una fetta così ingente del bilancio sia demandata a decisioni future, l’organo tecnico sta di fatto certificando l’autoespropriazione del Parlamento.
L’Assemblea, organo sovrano che detiene il potere di indirizzo, viene ridotta a mero ufficio di ratifica, che firma assegni senza sapere chi sarà il beneficiario.
Se il “cane da guardia” delle prerogative parlamentari inizia a scodinzolare di fronte a una manovra che svuota di contenuto la discussione d’Aula, abbiamo un problema che va oltre i numeri. Siamo di fronte a un “suicidio assistito” delle funzioni parlamentari. Una manovra può anche essere finanziariamente “robusta”, ma se il prezzo da pagare è l’atrofia del potere legislativo e la delega cieca al Governo, allora è la democrazia regionale a uscirne indebolita.