
Catania sembra ormai precipitata in una spirale di violenza quotidiana che non accenna a fermarsi. Dopo l’omicidio di Santo Re, avvenuto poche settimane fa, un nuovo episodio di sangue ha scosso la città: la brutale uccisione di Alessandro Indurre, 40 anni, accoltellato davanti a un supermercato in corso Sicilia al culmine di una lite tra due posteggiatori abusivi. Un regolamento di conti in pieno centro, sotto gli occhi dei passanti, che fotografa meglio di mille parole lo stato di degrado e insicurezza in cui è sprofondata Catania.
Non si tratta più di episodi isolati, ma di un fenomeno allarmante che i numeri confermano: gli episodi di criminalità sono in crescita costante, dalle rapine agli accoltellamenti, fino alle sparatorie notturne che da settimane seminano terrore nei quartieri popolari. A testimoniarlo sono anche le parole di Nello Musumeci, Ministro per la Protezione Civile e le Politiche del Mare, che avverte: “È chiaro che vi sia una ricomposizione dei vertici mafiosi ed è altrettanto evidente come la droga sia tornata ad essere, dopo gli appalti e i flussi pubblici, un punto di riferimento”.
La criminalità non è un’emergenza astratta: i numeri lo confermano
Solo negli ultimi mesi Catania ha avuto un’inaspettata escalation di violenza, con un notevole aumento di sparatorie e omicidi che hanno richiamato l’attenzione e il confronto con gli anni ‘80 e ‘90 , epoche caratterizzate da violenza mafiosa.
La provincia di Catania emerge da tempo come la più esposta in Sicilia in termini di denunce penali: già nel 2022 il dato si attestava a 3.517,6 denunce ogni 100.000 abitanti, per un totale di 37.597 reati denunciati. Questo primato regionale non è casuale: Catania è costantemente afflitta da furti, rapine, scippi e aggressioni, spesso in luoghi pubblici e densamente popolati.
La percezione di insicurezza esplode laddove la microcriminalità assume forme reiterate e visibili, come anomalie notturne e segni di potere criminale nel tessuto urbano.
17 sparatorie in pochi giorni hanno allarmato i cittadini, generando timori e tensioni nei quartieri. I colpi di arma da fuoco sono stati sparati in vicinanze di esercizi commerciali vari, con ordini di intimidazione a colpire attività specifiche.
Politica divisa, cittadini soli
Mentre la città chiede sicurezza e risposte concrete, la politica si divide. Il vicepresidente vicario del Consiglio comunale, Riccardo Pellegrino, ha lanciato un duro atto d’accusa: “Catania è diventata una città invivibile: un uomo accoltellato in pieno centro, sparatorie ogni notte, cittadini impauriti e un gravissimo danno per il turismo. La gente non si sente più sicura neppure a uscire di casa. Tutto questo è inaccettabile”.
Pellegrino non si limita alle parole: invita il presidente del Consiglio comunale, Seby Anastasi, e tutti i colleghi a sospendere le attività istituzionali finché non verrà convocato un incontro ufficiale con il Governo nazionale. Un gesto simbolico, ma che denuncia l’impotenza e la frustrazione di fronte a un’escalation di violenza senza precedenti.
Ma le sue dichiarazioni hanno suscitato reazioni durissime. L’eurodeputato di Fratelli d’Italia, Ruggero Razza, ha replicato senza giri di parole: “Le dichiarazioni del vicepresidente del Consiglio comunale di Catania, espresso da Forza Italia, sono semplicemente indecorose. La buona politica si stringa attorno alle istituzioni, a partire dal prefetto, dal sindaco, dalle autorità di pubblica sicurezza e all’autorità giudiziaria. Non tutto è un gioco ed è tempo che chi ha responsabilità se le assuma”.
A queste critiche si è aggiunto anche il presidente di Città Più Attiva, Santo Musumeci, esponente della sinistra, che ha chiesto l’uscita politica di Pellegrino: “La questione Pellegrino è un fatto locale, per questo chiedo direttamente ai responsabili locali di Forza Italia, a cui non mi lega niente se non la stima di alcuni dirigenti locali che conosco, di buttare fuori Pellegrino dal partito e secondo me andrebbe sfiduciato anche dal Consiglio comunale. Un uomo che sta dentro le istituzioni lo deve essere sempre anche fuori dal Palazzo. Assurdo per me in questa occasione condividere anche le parole dell’eurodeputato Ruggero Razza”.
Subito dopo è arrivata anche la presa di posizione dei capigruppo di maggioranza del Consiglio comunale, che hanno diffuso una nota:
“Considerati gli ultimi accadimenti in città, il nostro appello è quello di rimanere uniti, compatti e lucidi, sia come Consiglio comunale sia come rappresentanti della comunità cittadina. In questo momento non servono sciacallaggi, speculazioni o dichiarazioni inutili che rischiano solo di alimentare allarmismi e divisioni: ciò che serve è responsabilità e collaborazione.
Come già preannunciato dal Presidente Anastasi, il Consiglio comunale non può e non deve arrestare i lavori d’aula, preziosi per la vita amministrativa della città. Al contrario, deve continuare a svolgere pienamente il suo ruolo accanto all’amministrazione, con spirito di collaborazione nei confronti del Sindaco Trantino, della Prefettura, della Questura, della Procura e di tutte le forze dell’ordine – per concludere – Catania dimostrerà ancora una volta, davanti alle prove più difficili, di non arrendersi”.
L’allarme delle associazioni
A rincarare la dose ci pensa anche il Codacons, che raccoglie il malessere diffuso della popolazione e parla senza mezzi termini di “situazione insostenibile”. L’associazione chiede l’invio immediato di almeno 200 nuove unità delle forze dell’ordine e l’impiego dell’Esercito, sul modello già sperimentato in altre città. E annuncia una possibile mobilitazione nazionale, fino a una marcia su Roma, se il governo non interverrà.
Non solo: il Codacons propone anche l’istituzione di un tavolo permanente sulla sicurezza che coinvolga Stato, Regione, Comune, forze dell’ordine e società civile. Un appello che suona come una condanna all’inerzia di chi dovrebbe già garantire l’ordine pubblico.
La risposta di Trantino
Il sindaco Enrico Trantino ha promesso misure straordinarie: più controlli con Polizia e Carabinieri, collaborazione con il Viminale per aumentare le risorse disponibili e la convocazione di un comitato per la sicurezza. Trantino ha definito la città “un focolaio di violenza” e ha citato anche il fenomeno dei parcheggiatori abusivi come parte integrante di un sistema criminale radicato.
Il primo cittadino aveva anche chiesto al Capo del Governo l’invio di un numero consistente di unità militari, da dislocare nelle aree più a rischio per dissuadere comportamenti illeciti e rassicurare una popolazione sempre più esposta alla microcriminalità. La richiesta, però, non ha avuto seguito: dopo un’iniziale apertura del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il 15 giugno è arrivato il “no” del sottosegretario Alfredo Mantovano.
“L’Esercito è già impegnato da diversi anni nell’operazione Strade Sicure. Il contrasto alla criminalità spetta alle Forze di Polizia: ognuno deve fare la propria parte. Inoltre, l’attuale contesto internazionale di crisi impone alla Difesa di pensare prioritariamente alle esigenze di sicurezza esterna”, aveva dichiarato Mantovano durante la presentazione del Piano Caivano.
Dopo l’omicidio di corso Sicilia, i contatti con il Viminale si sono riaccesi. “Sono in contatto con i sottosegretari Nicola Molteni e Wanda Ferro – ha spiegato Trantino – i quali hanno garantito interventi concreti, tra cui un aumento di uomini e mezzi per le Forze dell’Ordine”.
Una città che non può più aspettare
Catania non può permettersi di restare prigioniera della paura. La violenza che esplode nelle strade non è solo una questione di cronaca nera, ma un problema strutturale che mina la coesione sociale, uccide il commercio, soffoca il turismo e svuota le piazze.
Le istituzioni locali, però, appaiono paralizzate tra proclami e divisioni interne. La verità è che la città chiede risposte, non slogan. E che un’altra stagione di silenzi e promesse mancate rischia di consegnare definitivamente Catania all’illegalità e alla disperazione.