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Politica

LA SICILIA, PATERNÒ: Il cambiamento politico senza cambiamento antropologico è una messinscena.

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C’è una scena del Gattopardo che più di altre sembra scritta per Paternò, oggi. È il colloquio tra il Principe di Salina e Chevalley, l’inviato del nuovo Stato unitario. Un dialogo sul cambiamento, sulla politica, sull’illusione di un nuovo “rinascimento”. Un dialogo che, a distanza di oltre un secolo, parla con inquietante precisione alla città etnea appena segnata dallo scioglimento per infiltrazioni mafiose e affidata ai commissari.

Perché anche a Paternò, come nella Sicilia di Tomasi di Lampedusa, il problema non è solo chi governa, ma come governa.

Lo scioglimento del Consiglio comunale ha segnato una frattura formale, le istituzioni elettive azzerate, la politica sospesa, il potere affidato allo Stato. Ma la domanda vera è un’altra, cambierà qualcosa nella sostanza o solo nella cornice?

Il rischio, evidente, è che lo scioglimento venga vissuto come un evento eccezionale da archiviare in fretta, una parentesi burocratica prima del “ritorno alla normalità”. Esattamente ciò che Don Fabrizio definirebbe il sonno, l’attesa che tutto passi senza che nulla venga davvero messo in discussione.

I commissari rappresentano lo Stato, la legalità, la discontinuità. Come Chevalley, arrivano animati da razionalità amministrativa, regole, procedure. E fanno bene. Ma Tomasi di Lampedusa ci ha insegnato una verità scomoda, i cambiamenti calati dall’alto non attecchiscono se il terreno sociale resta lo stesso.

Paternò non è stata solo governata male. È stata attraversata da una cultura della fedeltà al posto della competenza, una burocrazia piegata agli interessi del potere politico, un sistema di consenso fondato su favori, silenzi, intermediazioni opache.

Tutto questo non si scioglie con un decreto. Nel Gattopardo, Don Fabrizio rifiuta il seggio senatoriale perché ha capito che il nuovo Stato userà vecchi uomini con nuove insegne. A Paternò il rischio è identico se dopo il commissariamento tornano gli stessi nomi, le stesse famiglie politiche, le stesse reti di influenza, la stessa tolleranza sociale verso l’opacità. Allora lo scioglimento sarà stato solo un cambio di bandiera sul palazzo, non un cambio di sistema.

Il punto non è solo punire una classe politica che ha portato al disastro la città. Il punto è interrompere una continuità culturale che ha reso possibile lo scioglimento stesso.

La frase più dura del Principe di Salina riguarda il popolo, non i governanti. È qui che il parallelismo diventa scomodo. Paternò ha spesso mostrato sfiducia nella politica, ma dipendenza dal potere; indignazione a intermittenza, ma memoria corta; richiesta di legalità, ma tolleranza verso il favore personale.

Senza una presa di coscienza collettiva, il commissariamento rischia di essere vissuto non come occasione di rinascita, ma come fastidio temporaneo.

O Paternò utilizza questo tempo sospeso per ricostruire regole, selezionare una nuova classe dirigente, pretendere trasparenza vera, rompere il legame tossico tra politica, burocrazia, consenso e relazioni oscure, oppure assisteremo all’ennesima versione del copione gattopardesco: tutto sarà cambiato perché tutto possa tornare com’era.

Il commissariamento non è una soluzione. È solo uno specchio. E Paternò, oggi, deve avere il coraggio di guardarsi davvero. Il punto centrale non è la nostalgia del sistema malato che ha portato la città nel baratro, ma qualcosa di più profondo, la sfiducia nella politica. Questo il pericolo concreto per la democrazia.

Il cambiamento politico senza cambiamento antropologico è una messinscena. Le élite decadono, ma se non vengono sostituite da classi migliori, avremo solo classi dirigenti più voraci. Lo Stato arriva  come ramazza amministrativa, ma serve un patto sociale, con il popolo che ha il diritto di cittadinanza. Il vero conservatorismo non è solo l'”élite”, ma una società che teme la responsabilità della libertà, in un contesto complicato. Questa non è letteratura del passato, ma cronaca permanente, se il “rinascimento” non arriva dal basso, dalla società convinta di cambiare, tutto diventa ultroneo, tutto inutile se ancora i rituali politici rimangono gli stessi.

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