
di AdoMex –
Un regalo natalizio graditissimo fattomi da un “amico” (FF), che è andato oltre il libro. Polemos di Gianfrancesco Turano, e ho pensato, dopo la lettura, che fosse per un pubblico contemporaneo, siciliano. L’ho letto tutto d’un fiato (400 pagine) e sono andato a letto alle 4,30 del mattino senza accorgermene. Mi ha intrigato tanto perché è leggibile come commento politico-culturale del presente.
In Polemos, Gianfrancesco Turano non racconta semplicemente una storia, la guerra tra Atene e Sparta, mette in scena un conflitto. Anzi, il conflitto. Quello che attraversa il potere, le istituzioni, l’informazione e le coscienze individuali. Il titolo, che richiama Eraclito, “polemos panton pater“, la guerra è padre di tutte le cose”, non è un vezzo colto, ma la chiave di lettura di un’opera che oggi appare persino più attuale di quando è stata scritta, 2022. La guerra di Polemos non è fatta (solo) di armi. È una guerra asfissiante, carsica, continua, che si combatte nei palazzi, nelle redazioni, nei tribunali morali prima ancora che in quelli giudiziari. È la guerra del potere che si riproduce, si difende, si mimetizza. E’ soprattutto la guerra della verità contro la sua manipolazione.
Traslato nel nostro ambiente siciliano Polemos non è un romanzo, ma un manuale non dichiarato. Perché la guerra che racconta, permanente, invisibile, normalizzata, è la stessa che da decenni attraversa il potere isolano, le sue istituzioni e il sistema dell’informazione. Una guerra che non fa rumore, ma produce macerie civili.
Qui il conflitto non si combatte con le armi, ma con i rapporti di forza, con la gestione del consenso, con l’uso selettivo della giustizia. Non serve imporre alcunché, basta tenere tutto fermo. Basta amministrare il tempo, rallentare le decisioni, rinviare le responsabilità, gestire l’orologeria, proteggere equilibri che nessuno osa chiamare per nome: Mafia, non solo quella che spara.
Il potere che Turano descrive come rete fluida, mimetica, priva di un volto unico, in Sicilia è fin troppo acclarata. Non è solo politica. È intersezione continua tra apparati, interessi, carriere, fedeltà incrociate. Un sistema che sopravvive anche quando fallisce, perché ha imparato a rendere il fallimento accettabile, persino inevitabile.
Dentro questo schema, l’informazione diventa campo di battaglia decisivo. Polemos lo mostra con lucidità, non serve mentire, basta scegliere cosa non raccontare e come raccontarlo. In Sicilia questo meccanismo è diventato prassi. Notizie depotenziate, scandali derubricati o esaltati, conflitti trasformati in polemiche marginali. Il risultato è un’opinione pubblica disorientata, stanca, disillusa, educata alla rassegnazione.
E le istituzioni? In Polemos non crollano, si svuotano. Restano in piedi, ma perdono funzione, credibilità, coraggio. È la fotografia della Sicilia, cos’ l’ho interpretato, dove troppo spesso la legalità viene invocata come parola d’ordine e praticata come strumento a geometria variabile. Dove il rispetto delle regole convive con l’elusione sistematica delle responsabilità.
Il punto più disturbante del libro è quello che più ci riguarda da vicino, la complicità diffusa. Non ci sono mostri, non ci sono eroi. Ci sono funzionari prudenti, giornalisti cauti, politici attendisti, cittadini disillusi. Tutti un passo indietro rispetto al conflitto vero. Tutti convinti che tacere sia una forma di sopravvivenza, il galleggiamento.
Ma Polemos ci ricorda una verità che in Sicilia conosciamo bene e fingiamo di dimenticare: il silenzio non è neutralità. È una scelta. E in una guerra non dichiarata, è quasi sempre questa la scelta che rafforza il potere, il regime.
Rileggere oggi Polemos significa riconoscere che la guerra non è alle porte delle istituzioni siciliane, è già dentro. Nei palazzi, nelle redazioni, nei corridoi dove si decide, cosa è opportuno dire e cosa no. E finché continueremo a chiamare questa guerra “normalità”, continueremo a perdere senza nemmeno combattere.
In sostanza un romanzo che parla al presente. Riletto oggi, Polemos sembra anticipare l’epoca della polarizzazione permanente, verità contro narrazione, informazione contro propaganda, giustizia contro legittimazione del potere.
I personaggi si muovono in un sistema in cui nessuno è davvero innocente e nessuno è completamente colpevole. È una società che ricorda molto da vicino la nostra, inermi di fronte ai meccanismi al di sopra di noi, ma tutti responsabili delle proprie omissioni. Il romanzo mostra come il conflitto non sia più episodico, ma strutturale. Non esplode, si normalizza.