
Il Pontificale per la festa di Santa Barbara 2025 non è stata una celebrazione: è stato un processo pubblico. Mons. Luigi Renna, arcivescovo di Catania, dal pulpito, non ha parlato di fede. Ha parlato di potere, di responsabilità, di vergogne, di complicità. Ha parlato della decadenza morale di un’intera classe dirigente locale, quella che per anni ha governato, taciuto, favorito, chiuso gli occhi mentre la città scivolava verso lo scioglimento per mafia.
L’omelia non è stata un richiamo, è stata una condanna senza appello. Una frustata. La politica che non cambia nulla è marcia. Renna ha descritto una città in cui. negli ultimi anni, si è pregato, festeggiato, portato in processione la Santa…mentre sotto il tappeto si accumulavano clientele sempre più arroganti, appalti che giravano sempre agli stessi, candidature pilotate dai gruppi di pressione, silenzi comprati, favori, favoritismi, scambi di voti e di protezioni. La religiosità popolare come maschera, insomma la politica come teatro. E Renna, oggi, ha strappato la maschera. Poi il messaggio politico più duro: “La comunità deve convertirsi”. È un colpo diretto al cuore del sistema di potere locale. Perché “conversione”, in politica, significa: azzerare l’esistente, togliere le chiavi a chi ha portato Paternò nel baratro, chiudere definitivamente la stagione delle “famiglie” politiche che controllano pezzi di città come fossero proprietà privata. Renna ha detto chiaramente che il problema non è di pochi, è di un ambiente ammalato, inquinato, complice.
È stato un invito alla “verità”, una richiesta di mettere fine alle zone grigie. Quando Renna chiede il “coraggio della verità”, sta dicendo basta contiguità, basta rapporti ambigui. basta politica che gioca con il fuoco e poi finge stupita davanti allo scioglimento. Poi l’accusa più pesante, la politica locale sapeva tutto e non ha fatto nulla. Il Vescovo chiede una classe dirigente nuova. Non rinnovata ma nuova. Perché un corpo infetto non si cura con un’aspirina, bisogna amputare quando occorre. Renna non ha chiesto “di migliorare” la classe dirigente, ha chiesto di sradicare, di estirpare, di ripartire da zero.
Ecco cosa significa il suo messaggio politico: Chi ha governato negli ultimi anni e non si è distinto, chi non ha combattuto con la propria forza morale, non badando ai miseri vantaggi personali che la carica gli consentiva, non può più tornare; chi ha coperto, taciuto o finto di non capire non è parte della soluzione; chi ha vissuto di relazioni opache non è candidabile;
chi è cresciuto dentro il vecchio sistema e non si è ribellato, ne porta il marchio.
La città non ha bisogno di riciclati. ha bisogno di discontinuità totale. Per Renna la politica è obbligata a cambiare i criteri di selezione e per questo li chiama a tagliare i cordoni ombelicali con chi appartiene al passato e non si è distinto, a non candidare più pupilli o figliocci di centri di potere, bisogna cacciare i professionisti del consenso facile, dire NO a chi porta voti sporchi o dubbi, chiudere le porte a chi pretende candidature come compenso personale.
Renna ha detto quello che la politica non ha avuto il coraggio di fare. Ha detto la verità davanti a una città intera. Ha detto — senza dirlo — che lo scioglimento non è stato un incidente, è stato il risultato prevedibile di anni di gestione opaca, nessuno può più permettersi di dire “non sapevo” e si è girato dall’altra parte. I partiti devono scegliere persone pulite, libere, competenti e nuove.
L’omelia, in sintesi, è stata un ultimatum politico. Il Vescovo ha fatto ciò che raramente fa un leader religioso, ha parlato come un capo civico, come un difensore delle istituzioni, come qualcuno che non sopporta più il degrado morale. “Se volete rinascere, dovete liberarvi di tutto ciò che vi ha portato fin qui. Senza eccezioni. Senza nostalgie. Senza ricicli”. La futura classe dirigente dovrà essere un’altra specie, non un capitolo successivo della stessa storia.