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BENI CULTURALI, LA FILIERA DELL’ACCIDIA: Comune, Sovrintendenza, Parco Archeologico, Assessorato Regionale BB.CC.

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Una denuncia che non riguarda esclusivamente la Torre Normanna di Paternò, ma va ben oltre per i danni che ha arrecato e arreca al patrimonio culturale e ai nostri beni, LA FILIERA DELL’ACCIDIA:

Scrive Francesco Finocchiaro: “Prima bene comunale, poi regionale, oggi gestita con un sistema ibrido che comincia a scricchiolare. Negli ultimi anni è diventata – la torre – uno spazio senza identità, senza cura. Visitato da molti turisti e studiosi ma sempre privo di un vero e proprio progetto di fruizione. Solo occasionali eventi, spesso privi di coerenza scientifica. Il corto circuito è causato da una gestione priva di controllo. Basti ricordare la vicenda dei corpi illuminanti istallati senza nessuna autorizzazione e poi rimossi (chissà che fine hanno fatto). La prassi di istallare, allestire, mostre, eventi, ecc. senza una progettualità è diventata una prassi. Ognuno può fare quello che vuole, attraverso un rimbalzo di responsabilità, tra proprietario del bene, la Regione Siciliana, attraverso il Parco Archeologico di Catania e delle Aci e il Comune di Paternò (almeno fino a un mese fa) che lo ha trasformato in uno spazio di sperimentazione artistica (spesso meno artistica ma sicuramente dannosa – ndr) senza controllo.

Ormai è diventata una patologia mortale che contagia non solo il comune di Paternò, ma soprattutto la Sovrintendenza BB.CC. di Catania, piuttosto che il Parco Archeologico di Catania e l’assessorato ai Beni Culturali della regione siciliana per l’accidia dimostrata, tutto senza controllo. Si contestano atti, omissioni e responsabilità amministrative, non reati. È il registro giusto per reggere anche a contestazioni.

Non è più una vicenda circoscritta al Comune di Paternò. È un caso che risale l’intera catena della tutela dei beni culturali in Sicilia, mettendo in luce una responsabilità diffusa e stratificata, dove ognuno sembra aver fatto “il minimo indispensabile”, ma neanche quello, mentre il sistema nel suo complesso smetteva di funzionare.

Il Comune di Paternò, oggi sciolto per infiltrazioni mafiose, rappresenta l’anello terminale. In quel contesto amministrativo dove si sono consumate scelte, omissioni e tolleranze che riguardano, la gestione, la mancanza di autorizzazioni autorizzazioni, la mancata vigilanza su aree di pregio storico e archeologico.

Ma un Comune, per legge, non potrebbe agire nel vuoto autorizzativo. Soprattutto quando insiste su un territorio vincolato e sottoposto a tutela.  La Sovrintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Catania ha la competenza e il dovere dirette, su vincoli, pareri, autorizzazioni e controlli. La domanda chiave è semplice: quanti controlli sono stati effettuati? Quanti procedimenti sono stati seguiti fino? Quanti atti di diffida o di blocco sono stati adottati e poi rispettati? Una mancanza assoluta dell’alta sorveglianza Il punto non è accusare, ma constatare che l’inerzia amministrativa, quando reiterata, produce effetti concreti quanto un atto illegittimo. La Sovrintendenza aveva il ruolo di argine tecnico e istituzionale. In molti casi, quell’argine non ha retto – o non è mai stato costruito.

Il Parco Archeologico di Catania, formalmente deputato alla tutela e valorizzazione dei siti archeologici del territorio, appare in questa vicenda come un soggetto marginale, silenzioso, quasi inesistente nel dibattito pubblico e negli atti conseguenti, malgrado sia il proprietario della Torre Normanna. Perché non lo ha fatto?
Perché non risulta una presa di posizione pubblica chiara e documentata sulle criticità di Paternò.

Oramai abbiamo una convinzione acclarata dai fatti. L’Assessorato regionale ai Beni culturali è il controllore che non controlla.  Qui la responsabilità è politica e amministrativa insieme.

L’accidia denunciata non è un’opinione, ma una assenza di indirizzo e di verifica. Quando più livelli amministrativi falliscono contemporaneamente, non si può parlare di singole disattenzioni, è un fallimento di governance.

Paternò diventa così un caso emblematico: non solo di infiltrazione, ma di inermi istituzioni di tutela, incapaci o non disposte a esercitare fino in fondo il proprio ruolo.

Il patrimonio culturale non viene distrutto solo con le ruspe. Viene distrutto anche con i silenzi, con i pareri tardivi, con i controlli mai effettuati. E quando nessuno risponde, il sistema si autoassolve. Adesso lo scioglimento di un Comune non può diventare l’alibi perfetto per assolvere tutti.

Ed ecco la catena dell’inerzia con nomi, ruoli, responsabilità:

Il primo anello della catena è l’ente locale, Giovanbattista Caruso  è stato assessore nella Giunta comunale di Paternò, con deleghe inclusive di cultura e politiche culturali. Accanto all’assessore, la dirigente responsabile dell’Ufficio Cultura è Anna Maria Caruso (lo stesso ufficio che avrebbe dovuto seguire programmi, vigilanza e rapporti con gli enti regionali per il patrimonio).La dialettica tra amministrazione e tutela parte da qui, e molte delle critiche sulla gestione locale riguardano proprio la mancanza di iniziative attive e verifiche puntuali sugli asset culturali custoditi nel territorio.

La Sovrintendenza che è l’ente regionale titolato alla tutela, controllo e autorizzazione per le opere su beni vincolati i cui dirigenti si sono succeduti negli anni, ma che tutto il disastro prodotto ruota su alcuni dirigenti/funzionari, ha alternato l’inedia, l’incuria e il menefreghismo, come nel caso del finanziamento degli scavi archeologici inseriti nella finanziaria 2025 dall’ARS e che questo ente inutile ha fatto perdere depauperando così il territorio e la collina storica.

Il Parco archeologico e paesaggistico di Catania e della Valle dell’Aci, con responsabilità tecniche trasversali su progettazione, manutenzione, ricerca e promozione di siti culturali. Con l’aggravante, nel caso in esame, di esserne il proprietario.

Infine l’assessorato ai Beni Culturali che sollecitato per i temi in questione ha mostrato un menefreghismo (in)solito e che riteniamo padre di tutte le nefandezze.

Ed ecco a mò di esempio alcuni dei disastri ai quali abbiamo assistito che abbiamo denunciato. Tutta colpa della filiera nefasta che qui sopra abbiamo indicato, nessuno escluso:

  1. Fontana dei piazza della Regione con distruzione della fontana;
  2. Violazione con ruspe del geosito-archeologico le Salinelle, fortuna dei tombaroli;
  3. Gestione priva di controllo del Castello Normanno;
  4. Rifacimento del cinema S.Barbara, immobile nel centro storico senza autorizzazione sovra-comunale;
  5. Perdita del finanziamento per scavi archeologici nella collina, che approfondiremo in seguito.

Gestione fallimentare, -conclude Finocchiaro- l’unica nota positiva sono i due eroi (impiegati comunali) che si alternano per l’apertura della torre ogni giorno. Poi il silenzio totale, visite occasionali, turisti per caso, zero comunicazione e pubblicità, zero inserimento nei circuiti regionali, zero programmazione, zero in ogni cosa. Eppure, è il simbolo di questa città. Non vado oltre. Zero investimenti, ma è normale, la torre esiste solo nella mente dei paternesi. Eppure, il bene è della Regione Siciliana, ma poi spunta quella vocina dal fondo della sala che dice: ma la gestione è stata affidata al Comune di Paternò”.

 

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