
di Andrea Di Bella
Paternò e Fratelli d’Italia. Il problema non è il dissenso ma chi lo reprime
In una Democrazia – anche quella più acerba, anche quella locale – le prerogative di un consigliere comunale (vale a dire eletto dal Popolo), non si mettono in discussione. Mai. Neppure se il consigliere in questione osa criticare le derive autocratiche del proprio partito. Neppure se si chiama Mariabarbara Benfatto, ed è stata eletta sotto il simbolo di una lista civica poi confluita insieme a tutti i suoi organi statutari, e ai relativi eletti, in un partito nazionale. Sia chiaro a tutti che Benfatto è a tutti gli effetti una iscritta-tesserata a quel partito, ovvero Fratelli d’Italia.
La sua colpa? Aver fatto opposizione. Sembra paradossale, ma nel microcosmo politico di Paternò, l’opposizione è diventata un atto di lesa maestà. Eppure, Benfatto ha semplicemente seguito la linea del partito, quella ufficiale, quella dichiarata nelle conferenze stampa e nei comunicati: opposizione netta e senza sconti all’amministrazione. Ma proprio per averla portata avanti con coerenza, è finita nel tritacarne di un partito che, almeno a livello locale, pare aver perso il senso delle proporzioni, oltre che quello della democrazia interna.
Nel mirino dell’affondo ci sono due nomi: il capogruppo Alfio Virgolini, che da candidato sindaco perdente nel 2022 (non eletto in Consiglio, il cui seggio gli è stato attribuito da una discutibilissima legge elettorale) si è trasformato – secondo Benfatto – nel custode di un’opposizione “di facciata”; ed il coordinatore cittadino Angelo Calenduccia (anche lui, detentore di un ruolo affidatogli da un Congresso locale di partito pieno di ombre), descritto come più attento a conservare il consenso personale che a garantire coerenza politica.
A margine di questa vicenda c’è un dato non banale: la richiesta formale di rimozione di entrambi dagli incarichi. Una richiesta netta, firmata e trasmessa ai vertici regionali e nazionali del partito. Non una sfuriata estemporanea, non una fuga dai problemi, ma una posizione politica chiara, motivata, che mette a nudo le fragilità di una classe dirigente locale che non regge il confronto con la libertà di pensiero dei suoi stessi eletti.
L’autosospensione della consigliera Benfatto dal partito di appartenenza, ufficializzata nei giorni scorsi, non è una resa ma una denuncia politica, tanto più grave perché indirizzata a chi dovrebbe garantire pluralismo e confronto. E il fatto che si sia dichiarata tuttora “ancorata ai valori del partito” – riferendosi al presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, all’onorevole Francesco Ciancitto e all’europarlamentare Ruggero Razza – dice molto di più sull’isolamento di cui è vittima: non ha tradito Fratelli d’Italia: è lei ad essere stata tradita da chi, di quel partito, pretende di farne una specie di caserma personale.
Ma c’è una domanda che aleggia su tutta questa storia: da quando in poi un consigliere comunale eletto deve chiedere il permesso per fare politica? La risposta – se ancora vale la Democrazia – dovrebbe essere una soltanto: mai. Chi oggi si scandalizza per la voce fuori dal coro, dovrebbe preoccuparsi invece del silenzio assordante degli altri. Tutti gli altri. (fonte freedom24news)
- E le critiche non si sopiscono, Giuseppe Privitera, riallacciandosi alla vicenda della serata trash, punta il dito anche lui nei confronti del vertice paternese di FdI, partito a cui è iscritto (ndr):
