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Fine dell’era Naso: Paternò tra macerie politiche e nuove narrazioni

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di Francesco Finocchiaro

Le luci della Casa comunale sono ormai spente, le stanze vuote. La città di Paternò si è svegliata attonita e silenziosa. Anche se tutti erano consapevoli che poteva succedere da un momento all’altro, nessuno ci credeva veramente. L’esperienza politica e amministrativa di Nino Naso, iniziata nel 2017 finisce qui. Dopo quasi otto anni, tutti a casa. Insieme agli assessori e i consiglieri comunali.

Finisce nel peggiore dei modi: con il decreto del Presidente della Repubblica del 21.11.2025 che ai sensi dell’art. 143 del D.Lgs. n. 267 del 2000 scioglie il consiglio comunale di Paternò “in considerazione degli accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata che compromettono il buon andamento dell’azione amministrativa e affida la gestione del comune ad una commissione straordinaria per la durata di diciotto mesi”.

Game over. Tutti giù per terra. Questi i fatti ad oggi. Si poteva evitare? Si. Le responsabilità sono condivise tra molti attori? Si. La città ha perso? Si. I prossimi anni saranno duri per tutti? Si. La comunità è stata assente? Si. C’è la speranza che ci si possa rialzare? Si.

In queste prime ore, dopo l’avvio dello scioglimento, si sono registrate diverse dichiarazioni, da parte di molti protagonisti diretti e indiretti. Il sindaco a caldo ha manifestato rabbia; poi rassegnazione. Nel mondo politico emergono le dichiarazioni di Fratelli d’Italia e del Partito Democratico: dispiacere, consapevolezza e tutti prendono le distanze. Poi, un po’ tutti delineano un possibile futuro: “si deve ripartire con nuove energie”, (Gaetano Galvagno, Presidente ARS), “pronti a dare un contributo per rilanciare la città” (Francesco Ciancitto, deputato nazionale), “bisogna chiamare a raccolta le migliori forze” (Giancarlo Ciatto, esponente PD). A questi, si aggiungono i tanti commenti sui social della gente comune. Pochi di solidarietà nei confronti dell’amministrazione uscente e in tanti critici e spietati. Anche la Chiesa si è espressa: “sollecitando una riflessione comune, una presa d’atto delle criticità nascoste, la convergenza degli uomini di buona volontà e la necessità di ricostruire”.

Ma la riflessione di cui siamo testimoni è ancora troppo calda, satura di scorie, figlia di una dialettica aspra che ha caratterizzato gli ultimi anni. Serve una certa distanza culturale per definire meglio il perimetro politico dentro il quale ricostruire nuove proposte. Il punto, oggi, è capire cosa è successo, chi ha contribuito a questo epilogo e soprattutto come sarà raccontato. E bisogna anche prendere atto che qualunque ipotesi si voglia formulare adesso è figlia di una condizione mutevole che nei prossimi due anni cambierà certamente. Quali saranno le forze in campo e con quel peso si presenteranno all’elettorato nel 2027-2028? Potrebbero non essere le stesse di oggi.

Nino Naso è stato il rappresentante di una protesta popolare nei confronti della borghesia salottiera della città. Paradossalmente sostenuto sottotraccia, proprio da quella borghesia. Impantanato in una palude di interessi, di rendite e di tensioni politiche trasversali, non sempre sue. Sul piano umano merita rispetto, sul piano politico non ha visto lontano. Ma non è stato il solo a perdersi, i suoi assessori e i consiglieri comunali hanno perso, anche loro – lungo il percorso – il senso profondo dell’impegno politico e le sue ragioni etiche. Tutto qui? Non sono gli unici a dover riflettere.

La città dov’era? Quella che spesso stava dietro le finestre a guardare? Quella che sussurrava e non parlava. Quella che restava comoda nei salotti buoni. Quella che organizzava le feste e gli eventi. Non parlo di quella città che soffriva senza capire, parlo invece di tutti quelli che erano consapevoli ma silenti. Quelli che rilevavano criticità e si giravano dall’altra parte. Quelli che sostenevano l’amministrazione con le loro complicità, sempre presenti, in posa nella foto. Forse l’associazionismo dovrebbe farsi delle domande una volta per tutte. Nino Naso ha ingozzato questo sistema di scatole vuote e autoreferenziali che oggi sono in prima linea nell’attribuirsi valori etici. Doveva dare volume al vuoto.

Forse non farà in tempo a cantare il gallo. Li troveremo in prima fila da un’altra parte. E già si intravedono i segni. Perché – come dicevamo prima – il tema dei prossimi mesi sarà la narrazione. E lo strumento più usato sarà quello fotografico, iconografico. Per raccontare questa storia si scriveranno nuove sceneggiature, relazioni improbabili ma stereotipate. Circolano le vecchie foto di Nino Naso con esponenti di destra. Quasi che l’amministrazione fosse di Fratelli d’Italia, che invece perde le elezioni del 2017 e del 2022. Elezioni vinte da altri che nascondono l’album di famiglia per vergogna. Comodo. Vediamo chi era vicino i nastri da tagliare? Ci vuole Photoshop per manipolare l’informazione, oppure basta nascondere l’album dei matrimoni.

Adesso, bisogna raccontare, anche con ravvedimento. Bisogna essere onesti nel racconto, prendere atto di quello che è veramente successo. Evitando l’uso di vecchie fotografie, usando quelle degli ultimi sette anni, magari degli ultimi tre anni. Quelle dei nastri tagliati e delle luci accese. Nessuno può tirarsi fuori, nessuno può raccontare un’altra storia. Nessuno può dire che non sapeva. Da qualunque parte sta. Oggi servono nuove energie, competenti e visionarie. Esperte e innovatrici. E serve un associazionismo più libero, più inclusivo, meno assoggettato. Forse meno associazioni e più azioni. Ma questo è solo l’inizio, la storia è tutta da riscrivere. Ma alla fine, Nino Naso era di destra o di sinistra? Le foto sul web dicono altro. Definire la sua collocazione oggi è decisiva per raccontare in seguito la vera storia. Oggi serve il rispetto per l’uomo, ma nello stesso tempo coerenza e onestà nella ricostruzione storica. Le foto cancellate dai profili e quelle pubblicate ad arte non faranno bene al confronto sollecitato dalla chiesa locale.

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