
Con questa intervista a Giancarlo Ciatto passiamo al polo progressista, il cosiddetto centrosinistra storico (PD, M5S, Verdi-Sinistra ), quello che certamente non vuole pastette politiche, né inciuci, né ammucchiate contro-natura e che il test popolare ha premiato.
- Una premessa prima di entrare nei temi. Questa rivista ha lanciato una esplorazione popolare sulle probabili candidature a sindaco. Il suo nome era tra quelli oggetto del test è arrivato primo tra quelli della sinistra. Cosa ne pensa del successo di preferenze avute?
Non conosco il metodo che è stato utilizzato per effettuare il sondaggio. Quello che so è che per avere valore scientifico, il campione selezionato deve essere rappresentativo dell’universo della popolazione. Detto questo, se i numeri di chi ha risposto sono quelli che ho letto, possono pure essere indicativi di un umore diffuso, e non può che farmi piacere il fatto che una certa quantità di persone ha mostrato stima nei miei confronti. Fatta questa premessa, dico che le elezioni sono ancora lontane. Dico, soprattuto, chi mi conosce sa che queste parole sono sincere, che nella mia vita politica non ho mai anteposto la mia persona al progetto complessivo. Sgombero il campo, quindi, da ogni possibile equivoco. Farò ciò che ho sempre fatto, e cioè mettere a disposizione la mia passione, nella ricerca della maggiore unità possibile delle forze progressiste. Quando parlo di forze progressiste, mi riferisco al PD, ai Cinque stelle, e all’alleanza Verdi-Sinistra italiana. Per riaccendere la speranza di cui parlavo prima serve un grande progetto collettivo, aperto alle forze più sane della città A questo proposito, mi faccia dire un’ultima cosa: al di là della fisiologica contrapposizione delle forze politiche, una volta finita la competizione elettorale, c’è bisogno di una classa politica che sappia unire tutta la città.
- Detto ciò iniziamo a parlare di temi. Come sta la Città?
Da qualsiasi punto di vista la si guardi, se la si guarda con lucidità, si può scorgere una città che sta molto male. Somiglia ad un corpo in agonia, circondato da chi vuole lucrare sui suoi ultimi resti, ma allo stesso tempo completamente abbandonato. La crisi è profonda e generale: economica, sociale, culturale. Le responsabilità sono tante e, a mio umile modo di vedere, non attribuibili solo al ceto politico. Riguardano la città nel suo complesso, ed i suoi ceti dirigenti. Ma non vi è dubbio che otto anni di amministrazione Naso segnino il punto più basso. Incompetenza, approssimazione, utilizzo delle istituzioni come fossero cosa propria. Quello che più colpisce, me lo lasci dire, è la stridente contraddizione tra lo strapotere che diverse figure politiche — tutte riconducibili al centrodestra, e tutte paternesi — esercitano a livello regionale e nazionale, e le condizioni della città. Sta di fatto che, se non si inverte questa tendenza al declino, Paternò nel giro di 15/20 anni rischia di scomparire. I giovani saranno costretti ad andare via, il perdurare della crisi economica e la contrazione del mercato immobiliare, faranno il resto.
- È tutto perduto, quindi, o esiste ancora una speranza?
Le rispondo da cristiano, e per un cristiano la speranza è certezza. No, non è tutto perduto. Ma c’è bisogno di donne e uomini che riescano a riaccendere questa speranza, e che si muovano lungo due binari: la buona amministrazione e la visione. Voglio essere molto concreto e le dico innanzitutto che bisogna rifuggire da formule preconfezionate, figlie del ‘modernismo’ e di questa società dove tutto diventa ‘spettacolo’. La nostra comunità non ha bisogno né di uomini soli al comando né di star. Quindi rifiuto qualsiasi etichetta, che sia appunto solo un’etichetta: giovane, uomo, donna. La città ha bisogno, prima di ogni cosa, di competenza e di uomini politici che sappiano circondarsi di persone competenti. E poi, cosa più importante, ha bisogno di parole di verità e di quello che io chiamo ‘radicalismo visionario’. Non estremismo, sia ben chiaro. Quando parlo di radicalismo, mi riferisco alla radicalità dei valori, e quando parlo di visione penso a governanti che sappiano immaginare la città dei prossimi vent’anni.
Procediamo con ordine. Non voglio entrare nelle vicende processuali, ma non vi è dubbio che a Paternò vi sia una questione morale grossa quanto una casa. Perché, indipendentemente dai risvolti giudiziari, il quadro emerso dalle varie intercettazioni, fa accapponare la pelle. Ecco, la radicalità dei valori sta proprio qui. La buona amministrazione e la legalità passano sopratutto dalla costruzione di un quadro di regole chiare e condivise. Uno dei mali peggiori della nostra città, è l’assoluta discrezionalità con la quale si amministra. E non importa nulla che si pretenda di esercitare questa discrezionalità con ‘buone intenzioni’. Perché, se amministri senza regole, a passare saranno anche le ‘cattive intenzioni’. Secondo punto: servono parole di verità. È del tutto inutile costruire il libro dei sogni. Per essere credibili, bisogna dire che in questo momento a Paternò non vi sono nemmeno le condizioni minime di normalità. Prima di tutto, quindi, bisogna ricostruirla questa normalità. Sono anni che poniamo al sindaco alcune domande: qual è la reale situazione economico-finanziaria dell’ente? Qual è lo stato della burocrazia? Senza risposta a queste domande, e senza il tentativo di trovare delle soluzioni, non si può nemmeno cominciare a parlare di amministrazione. Vi è un piano di riequilibrio dei conti, ma non si conosce lo stato dell’arte. Gli uffici sono ridotti all’osso, soprattutto se si guarda ai livelli dirigenziali. Nessuna progettualità, nessuna ricerca di finanziamenti. A differenza di molti altri comuni, il nostro non è in grado di cogliere le opportunità del PNRR. Corpo dei vigili urbani di molto sottodimensionato. Se questa è la realtà che si presenta ai nostri occhi, come si fa a garantire la normalità? Come si fa a garantire un livello minimo nella erogazione dei servizi? Come si fa ad assicurare decoro urbano ed ordine pubblico? L’assenza di risposte in questa direzione, è la colpa più grande di questa amministrazione. Il terzo punto riguarda la ‘visione’. Un progetto di lungo respiro.
I sindaci e le loro amministrazioni hanno alcune leve sulle quali possono agire per indirizzare il corso delle cose: la leva urbanistica e la leva economica. È impensabile che una città possa vivere e svilupparsi senza quello che una volta si chiamava piano regolatore, e che oggi prende il nome, tra gli altri, di PUG. Il primo assillo di chi si candida al governo della città, dunque, dovrebbe essere la revisione di questo strumento, che a sua volta muove la leva economica. Poi vi sono le infrastrutture materiali e immateriali. Se si vogliono creare meccanismi virtuosi di sviluppo, se si vogliono rilanciare le zone artigianali e industriali, bisogna reperire i fondi per mettere mano a queste infrastrutture e sfruttare tutte le opportunità che esistono nella legislazione regionale e in quella nazionale. Capitolo a parte è quello dell’agricoltura. Settore chiave — ancora oggi — della nostra economia. Qui, un occhio di riguardo, va rivolto all’accorciamento della filiera, che ha generato la morte dei piccoli produttori, e a fenomeni vergognosi come quello del caporalato. In Sicilia siamo tornati al latifondo. Quelle sopraelencate sono questioni che riguardano il tessuto democratico della nostra società. Insomma, non è un caso se il nostro centro storico si trova in questo stato. Vi sarebbe molto altro da dire, sulle politiche culturali ad esempio, ma lo spazio non me lo consente. Quello che è certo, è che non servono grida manzoniane, serve concretezza.