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L’INFORMAZIONE, EBBENE Sì, SIAMO QUI A SPALARE MERDA

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L’attentato a Ranucci, un grave episodio recente avvenuto la sera del 16 ottobre 2025, quando è esploso un ordigno sotto le auto di Sigfrido Ranucci e di sua figlia davanti alla loro abitazione, ci dà l’occasione per parlare del diritto all’informazione, anche quella scomoda per i regimi pseudo-democratici locali.
Attaccare un giornalista o un giornale non significa solo colpire una persona, ma minare il diritto collettivo a essere informati. La libertà di stampa non è solo un diritto di chi scrive, ma un presidio di democrazia sana.
Gli attacchi a giornalisti e organi di stampa sono una minaccia crescente a livello globale, anche in Paesi democratici. Possono assumere forme diverse, quelle fisiche, verbali, legali, social, e il loro obiettivo è sempre lo stesso, limitare la libertà di informazione, ridurre il dissenso e controllare la narrazione pubblica. Spesso colpiscono chi fa inchieste su pubblica amministrazione, criminalità organizzata, corruzione, poteri forti o sedicenti forti.
Capiamo perfettamente chi è frustrato dalla situazione politica globale, sono in molti a sentirsi in questo modo. La politica, purtroppo, sembra sempre intrinsecamente legata a conflitti di interesse, corruzione, anche intellettuale, a mancanza di trasparenza, elementi che impediscono un progresso autentico e duraturo.
Quando parliamo di “SPALARE MERDA”, è chiaro che ci si riferisce a un desiderio di liberarsi da tutto ciò che ostacola una governance equa e prospera.
In questa ridente città, i cittadini si sentono impotenti di fronte a un sistema che favorisce pochi a scapito di molti. Le promesse non mantenute, la mancanza di responsabilità e le disuguaglianze tra cittadini, con riferimento agli “amici degli amici” che godono di privilegi molte volte illegittimi, creano un’atmosfera di cinismo e disillusione diffusa. «Sai quale rumore fanno le persone quando sono deluse? Nessun rumore. Fanno silenzio», ci suggerisce una nostra lettrice, una professionista molto attenta alle dinamiche sociali, per i silenzi anche della politica che non è al governo.
A questo silenzio ridondante supplisce la libera informazione. Ecco perché scendiamo pesantemente in campo con la nostra testata, per toccare i nervi scoperti dei quali nessuno parla, per paura del regime o per convenienza personale. Siamo i “giornalai rivoluzionari” per la Libertà. Altri giornalisti, non tutti,… tirano a campare.
È importante, però, non solo esprimere indignazione, ma anche cercare modi costruttivi per affrontare questi problemi. Cosa possiamo fare per promuovere un cambiamento positivo? Partecipando attivamente alla politica, soprattutto i cittadini, sostenere persone che rappresentano veramente il popolo e che si impegnino in attività di advocacy, in un’azione di sostegno e promozione attiva di una causa, che può essere il supporto per la difesa dei diritti di tutti, sono questi i passaggi fondamentali. Noi facciamo sentire la nostra voce in un dibattito pubblico che non esiste, ma questo basta?. Questo esercizio di supplenza può essere un modo potente per influire sulle decisioni politiche?
Non dimenticando il ruolo cruciale dei media e delle piattaforme di informazione. Il dovere è rimanere informati e sostenere un giornalismo di qualità che indaghi e metta in luce le ingiustizie. La partecipazione alla democrazia non si ferma solo al voto, include anche la vigilanza continua e l’impegno nella comunità.
In questo contesto di frustrazione, è essenziale insieme per un futuro migliore. Ci sono sempre modi per contribuire a un cambiamento significativo, anche quando la situazione sembra opprimente e irrimediabile. La pressione della società civile, insieme a una partecipazione attiva e consapevole, con l’appoggio dei media, può effettivamente spingere le forze politiche a migliorare. Noi ci siamo.
Anche subendo attacchi pubblici da parte di politicanti da strapazzo che hanno l’interesse a definire la stampa come “nemica”, con campagne d’odio sui social, sui giornalisti, che sono un bersaglio di vero mobbing digitale, insulti, minacce, molestie. Discredito sistematico nelle campagne per screditare singoli giornalisti o testate, anche con diffusione di bufale o informazioni fuorvianti.
Per non citare denunce civili o penali infondate per zittire giornalisti scomodi, spesso utilizzate da politici per bloccare inchieste. Anche qui da noi sono molto diffuse le querele per diffamazione strumentale, querele temerarie, come anche utilizzare le campagne di delegittimazione personale. Cioè etichettare i giornalisti come “nemici del popolo”, “faziosi”, “traditori”, “delinquenti”, con diffusione sul conto degli stessi per screditare, con notizie che nulla c’entrano con i temi trattati.
Alfio Cartalemi, giorni addietro ha scritto sui social concludendo un suo intervento: «È davvero grave e incomprensibile che politici locali di bassa levatura (parlava del regime nasista – ndr) scrivano lettere anonime all’Ordine dei Giornalisti e, non soddisfatti, si rivolgano anche alla redazione del giornale locale per chiarimenti, e come in questo caso sono solidali con Ranucci. Ipocriti e vergognosi». Si può dedurre che anche in contesti democratici, la stampa non è completamente libera da pressioni. Le intimidazioni non sempre assumono forme violente o eclatanti: spesso sono sottili, sistemiche e legalmente tollerate.
Nei paesi democratici dicevamo, (ma Paternò oggi può definirsi tale ?), la stampa dovrebbe godere — almeno sulla carta — di protezioni fondamentali, come la libertà di espressione e il diritto all’informazione. Tuttavia, queste libertà non la mettono al riparo, come sottolineato, da varie forme di intimidazione e pressione, che possono manifestarsi in modi diversi: fisici, verbali, legali e social.
Articolo 21della Costituzione Italiana:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure…” sempre che non devii dall’alveo della verità.

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