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Paternò, la città atonica: la rimozione di sindaco, giunta e consiglio, non è l’inizio della crisi, è il suo epilogo annunciato

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di Ado Mex

Lo scioglimento per infiltrazioni mafiose non è mai una ferita semplice. È un marchio, un giudizio severo che lo Stato imprime quando ritiene che un Comune abbia smarrito la propria capacità di governarsi in modo sano, libero, trasparente.
Ma a Paternò, oggi, lo scioglimento non è solo un evento istituzionale: è lo specchio impietoso di una città che da troppo tempo ha smesso di reagire, di domandare, di partecipare. Una città atonica, appunto. E questa parola non va usata con leggerezza. Perché dietro la decisione del Governo non c’è soltanto un’indagine, non c’è soltanto un faldone di atti, non ci sono solo responsabilità individuali.
C’è un’intera comunità che, lentamente, ha abdicato al suo ruolo, lasciando che pochi — pochissimi — costruissero la narrazione di una normalità che normale non era più.

Il quadro che emerge dagli ultimi sviluppi è ancora più inquietante della pur grave decisione di sciogliere il Comune.Si intravede una società civile smarrita, spesso indifferente, altre volte rassegnata. Paternò non è stata travolta all’improvviso, è stata consumata lentamente, nel silenzio di chi ha smesso di domandare conto, di chi non ha voluto vedere, di chi ha preferito adattarsi. Le associazioni, le categorie economiche, il mondo professionale, la scuola, la comunità religiosa, troppi segmenti della città sono rimasti a guardare, mentre il degrado amministrativo e sociale avanzava. E quando la società abdica, la politica si indebolisce, si chiude, si corrompe.

E poi c’è la politica locale. Il Consiglio comunale, oggi rimosso, non è stato il baluardo che una democrazia sana richiede. Troppi consiglieri, non tutti come abbiamo visto, ma molti, sono apparsi acritici, silenti, afoni. “Sordomuti”, direbbe chi racconta la città ogni giorno con critica crescente. Il loro compito era vigilare, controllare, denunciare, proporre.
Troppi si sono limitati a occupare una sedia, ad assistere allo spettacolo decadente della città, a volte fingendo di non vedere, altre volte adattandosi a ciò che non si poteva accettare. Non si sono dimessi, non hanno voluto sfiduciare un’amministrazione alla quale si opponevano, solo formalmente.

Le responsabilità politiche non coincidono necessariamente con le responsabilità penali. Ma sono spesso gravi, perché pesano sul destino della comunità in modo più profondo e duraturo.

Lo scioglimento per mafia è uno schiaffo durissimo.Ma è anche l’occasione per guardarsi allo specchio, senza sconti. Se Paternò è arrivata a questo punto non è soltanto perché qualcuno ha sbagliato, fatto gravissimo questo, ma anche perché troppi non hanno fatto nulla.

Oggi questa città ha un’occasione rara per: ricostruire la credibilità delle sue istituzioni, ridefinire il senso della partecipazione civica, riscoprire il valore della trasparenza, del controllo, della libertà. Serve coraggio. Serve un’assunzione di responsabilità.
Serve una nuova generazione, politica, sociale, culturale, che non abbia paura di rompere con il passato. E le forze politiche, in primis, hanno il dovere di farlo. Partire dalla storia recente con senso critico.

Il futuro non dipende dai commissari prefettizi. Non dipende da Roma. Dipende da Paternò. La domanda che dovremmo porci è semplice e terribile: la città ha ancora voglia di vivere da comunità libera? Se la risposta sarà sì, allora questa crisi — enorme, lacerante — sarà l’ultimo prezzo da pagare prima della rinascita.
Se la risposta sarà no, allora lo scioglimento non sarà un punto di ripartenza, sarà solo un altro capitolo di un declino che nessuno ha voluto fermare. Oggi Paternò può scegliere. E per la prima volta dopo tanto tempo, non può più permettersi di tacere.

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